La Storia

Ultima modifica 23 febbraio 2021

Nel 1543, il vescovo di Catania Niccolò Maria Caracciolo ottenne da Carlo V il "mero e misto imperio", ossia la giurisdizione civile e criminale sul territorio, istituendo così ufficialmente la Contea di Mascali, di cui i suoi successori continuarono ad essere proprietari per circa due secoli, assumendo il titolo di "Comites Mascalarum" (Conti di Mascali). È chiaro però che la nuda proprietà di terreni boschivi, incolti e talora paludosi a poco sarebbe valsa alla diocesi etnea se non ad inutili dispendi economici. Fu così che l'abile vescovo Caracciolo pensò bene di convocare in assemblea il 5 ottobre 1558 nella chiesa di Santa Maria degli Angeli gli abitanti di Mascali, per offrire loro in enfiteusi (cioè dietro pagamento di un canone periodico in denaro o in natura) ma a infimi censi le terre della contea. Questa data segnò dunque l'inizio del progressivo disboscamento e popolamento del territorio che ben presto, avendo attratto gli investimenti in massima parte di acesi e messinesi oltre a parecchia manodopera contadina, dal mare alla montagna si riempì di lussureggianti vigneti e di nuovi piccoli e sparsi centri urbani dipendenti dal centro di Mascali economicamente e giuridicamente.

Per tutto il XVI secolo ed oltre, a causa della sua collocazione su un'altura che la rendeva ben visibile dal mare, Mascali rimase però spesso vittima, come la maggior parte delle città costiere, degli attacchi dei pirati turchi che infestavano il Mar Mediterraneo, tanto che restò più volte quasi del tutto disabitata. Le cronache del tempo ci indicano come nel 1524 i turchi riuscirono a depredare il paese e a rapire "circa octanta pirsuni infra homini donni e pichulilli" per rivenderli a Costantinopoli come schiavi. Durante uno di questi attacchi perse la vita lo stesso vescovo Caracciolo.

Per proteggere dunque la città dalle incursioni turche furono innalzate alcune torri di avvistamento, ben sette secondo la leggenda, disseminate su tutto il territorio della contea.

Il XVII secolo fu caratterizzato da un consistente aumento demografico, ravvisabile soprattutto nella crescita dei nuovi borghi della contea e determinato dalle donazioni enfiteutiche del vescovo conte Michelangelo Bonadies, che difese strenuamente il diritto alla gestione del territorio, contro le intromissioni da parte dei regnanti.

Nel 1693 il terremoto del Val di Noto lasciò Mascali semidistrutta (ma i Mascalesi, caso unico fra le comunità della Sicilia Orientale,si salvarono quasi tutti, poiché, al momento della maggior scossa dell'11 gennaio, erano in processione, all'aperto,con le reliquie di San Leonardo); già in tale epoca si pensò di ricostruirla più a valle, ma il terreno acquitrinoso della piana sottostante ne scoraggiò l'insediamento. Ciò che fu spostato in pianura fu invece il tratto dell'antica via consolare valeria che fino ad allora aveva attraversato il centro abitato, fornendo così ai viandanti un percorso nettamente più agevole.

Nel XVIII secolo la Sicilia, e dunque anche il territorio di Mascali, passò in mano borbonica. Questo segnò però la fine della vecchia e gloriosa contea di Mascali, che fu ceduta dai vescovi catanesi alla casa reale nel 1757. La città di Mascali, tagliata fuori dai traffici commerciali e ormai in posizione periferica iniziò così il suo lento ma inesorabile declino.

A causa dell'eccessiva fiscalizzazione a cui i terreni erano sottoposti, sempre più insistenti si fecero inoltre le richieste di autonomia amministrativa da parte dei numerosi borghi sorti sul territorio della vecchia contea, primo fra tutti il "Quartiere delle Giarre", l'odierna Giarre, divenuto ben più grande e ricco della stessa Mascali e che ottenne la secessione nel 1815.

Data cruciale per la storia di Mascali è quella del 6 novembre del 1928, ricorrenza di San Leonardo, ancora oggi protettore della città, quando la lava dell'Etna, fuoriuscita da una bocca apertasi ad appena 1150 m di quota, incanalandosi nel torrente Pietrafucile che attraversava l'abitato, seppellì Mascali per intero lasciandone integra solo una piccola porzione periferica, l'odierna frazione di Sant'Antonino.

Una delle più importanti imprese del regime in Sicilia fu certamente la ricostruzione della città di Mascali. Il Governo, su mandato del Ministro dei Lavori Pubblici Giovanni Giuriati e dello stesso Mussolini, diede inizio ai lavori di ricostruzione immediatamente dopo la catastrofica calamità naturale. Fu deciso di spostare la nuova città più a valle, a ridosso della strada statale che collega Messina a Catania, a metà strada tra i Comuni di Giarre e Fiumefreddo di Sicilia. Il sistema urbanistico adottato individuò gli assi viari disposti in modo razionale, secondo uno schema ippodameo, ereditato dalla cultura dell'antica Roma, un vero e proprio "marchio di fabbrica" di tutte le città costruite durante il fascismo. Le prime opere finanziate furono l'acquedotto, il cimitero, la casa comunale, le scuole, la Chiesa. Congiuntamente fu predisposta la costruzione di un primo nucleo di abitazioni denominate "ricoveri stabili" (ancora oggi abitati come normali abitazioni civili) da destinare alle famiglie bisognose. Inoltre, per favorire la ripopolazione della città si provvide alla concessione di un lotto di terreno e di un contributo statale (dal 40 al 60%) per la ricostruzione delle case dei cittadini più abbienti. Solo per la costruzione delle opere pubbliche lo Stato impegnò la ragguardevole somma di 12 milioni di lire[3]. Lo Stato fu sempre vigile sui criteri di costruzione dei privati, dando ad essi dei precisi obblighi da seguire, specialmente dopo l'emanazione delle nuove norme di sicurezza ed antisismiche volute dal legislatore. Il grosso dei lavori fu ultimato entro il 1937.

Architettonicamente, Mascali esprime tutto lo sviluppo e l'inquietudine artistica di quegli anni, divisa a metà, tra edifici ispirati alle linee taglienti del futurismo e del razionalismo, ed edifici di stampo conservatore volgenti ancora ad uno stile ottocentesco. Gli edifici pubblici sono espressione della cosiddetta “architettura di Stato”, ovvero un razionalismo che fa da compromesso tra conservatorismo e modernità. Per l'urbanizzazione e la progettazione architettonica della città di Mascali, il regime si avvalse della consulenza di illustri architetti, tra i quali spicca Camillo Autore (allievo di Ernesto Basile), famoso per la risistemazione del lungomare di Reggio Calabria e la progettazione del monumento dedicato a Vittorio Emanuele III che troneggia sul sopracitato lungomare.

La leggenda narra che la Piazza Duomo fu ultimata in fretta e furia in una sola notte, alla notizia che il Duce, il giorno dopo in visita ad Acireale, avesse espresso la volontà di visitare la nuova città. Il giorno dopo effettivamente il Duce passò da Mascali, ma solo per un rapida sosta alla stazione con saluto dalla scalinata della stessa.